La compressione informatica dei suoni può causare danni all’udito, almeno negli animali. Lo hanno scoperto i ricercatori dell’Università di Clermont Ferrand, in Francia, facendo ascoltare musica a una novantina di porcellini d’India. Formati audio come l’mp3 o quelli che si ascoltano in streaming riducono infatti le pause nel suono e costringono l’orecchio a una tensione continua, che alla lunga diventa dannosa.
Per “audio compresso” s’intende l’audio digitale che è stato “compresso” elettronicamente per aumentare i livelli di suono più bassi in modo che siano più udibili. Lo svantaggio è che le orecchie ricevono un’energia sonora più forte e con meno sfumature rispetto a un suono classico. Il suono compresso non contiene più alcun silenzio, spiega il professor Paul Avan che ha guidato la ricerca. Non ci sono nemmeno quei pochi millisecondi di pausa, che si possono ritrovare in un suono non compresso, o moderatamente compresso, quindi il sistema uditivo non ha tregua, è asfissiato. Alcuni medici fanno un collegamento tra l’aumento di alcuni problemi di udito nei giovani e l’ascolto di questi suoni, ma se questo affaticamento uditivo è stato dimostrato negli animali, resta da dimostrare nell’uomo.