Usare un linguaggio semplificato e mimato in maniera più caricaturale nei confronti dei bambini è un’abitudine diffusa in diverse culture umane, anche distanti fra di loro: il “baby talk” è quel modo di parlare caratterizzato da un tono di voce più acuto e cantilenante, con un corredo di espressioni del viso esagerate, ripetizioni vocali e molte domande. Grazie a uno studio pubblicato recentemente sulla rivista scientifica “Nature Human Behaviour”, sono state raccolte e analizzate più di 1600 registrazioni di voci riguardanti 410 persone, in 6 continenti, sia in contesti urbani che rurali: in tutte le culture prese in esame, si è visto che vi è diversità nel parlare se la comunicazione avviene tra adulti o tra adulti e neonati. Nella letteratura scientifica il “baby talk” viene spesso definito con l’espressione infant-directed communication o child-directed communication (CDC).
Come riporta un’altra importante ricerca, condotta dall’università di Zurigo e pubblicata a maggio 2022 su “PLOS Biology”, l’uso della CDC pare faciliti l’apprendimento linguistico e migliori le capacità di interazione sociale. È stato anche dimostrato come i bambini prediligano questa modalità, rispetto a quella solitamente diretta agli adulti, perché tale forma di comunicazione mantiene più alta la loro attenzione e intensifica l’attività cerebrale nei lobi temporali di destra e di sinistra. Ulteriori studi hanno portato gli scienziati a indagare nel mondo animale: qui, tra macachi, uccelli e delfini, si ripresenta lo stesso comportamento: le madri si rivolgono ai cuccioli con toni più acuti e vocalizzi differenti. A questo proposito però gli scienziati invitano ad essere cauti: gli studi condotti non sono ancora sufficienti per poter trarre conclusioni definitive sull’argomento. Infatti, per quanto sia stato osservato che anche alcuni animali tendano a usare specifici movimenti della testa e del corpo o delle vocalizzazioni particolari per interagire con i piccoli, è improbabile che tali comportamenti giochino un ruolo nell’acquisizione della loro competenza comunicativa (come tra gli esseri umani), perché i suoni in questione non sembrano avere una funzione pedagogica bensì, piuttosto, di richiamo.